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Il mio cuore è un bambino,

fa i capricci, vuole la nutella

non sa che troppa fa male.

E io, stupida e sola

mi sto facendo commuovere

da un piccolo con i goccioloni agli occhi,

pur conscia di farmi del male…

 

Ho bisogno di punti di contatto,

ho bisogno del vento.

Le bateau ivre

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Il battello ebbro
 
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Poiché andavo scendendo lungo i Fiumi impassibili,
sentii che i bardotti non mi guidavan più:
ignudi ed inchiodati ai pali variopinti,
i Pellerossa striduli li avevan bersagliati.
 
Col mio cotone inglese, col mio grano fiammingo,
non mi curavo più di avere un equipaggio.
Quando, assieme ai bardotti, si spensero i clamori,
i Fiumi mi lasciaron scender liberamente.
 
Dentro lo sciabordare aspro delle maree,
l’altro inverno, più sordo di una mente infantile,
io corsi! E le penisole strappate dagli ormeggi
non subirono mai sconquasso più trionfante.
 
La tempesta ha sorriso ai miei risvegli in mare.
Più lieve di un turacciolo ho danzato sui flutti
che eternamente spingono i corpi delle vittime,
dieci notti, e irridevo l’occhio insulso dei fari!
 
Più dolce che ai fanciulli qualche acida polpa,
l’acqua verde filtrò nel mio scafo di abete
e dalle macchie rosse di vomito e di vino
mi lavò, disperdendo il timone e i ramponi.
 
Da allora sono immerso nel Poema del Mare
che, lattescente e invaso dalla luce degli astri,
morde l’acqua turchese, dentro cui, fluttuando
scende estatico un morto pensoso e illividito;
 
dove, tingendo a un tratto l’azzurrità, deliri
e ritmi prolungati nel giorno rutilante,
più stordenti dell’alcol, più vasti delle lire,
fermentano i rossori amari dell’amore!
 
Io so i cieli che scoppiano in lampi, so le trombe,
le correnti e i riflussi: io so la sera e l’Alba
che si esalta nel cielo come colombe a stormo;
e qualche volta ho visto quel che l’uomo ha sognato;
 
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ho visto il sole basso, fosco di orrori mistici,
che illuminava lunghi coaguli violacei,
somiglianti ad attori di antichi drammi, i flutti
che fluivano con tremito di persiane, lontano!
 
Sognai la notte verde dalle nevi abbagliate,
bacio che sale lento negli occhi degli Oceani,
la circolazione delle linfe inaudite,
e, giallo e blu, il destarsi dei fosfori canori!
 
[…]
 
Ho cozzato in floride incredibili. Fiori
sbocciavano fra gli occhi di pantere con pelli
d’uomo! In arcobaleni come redini tesi
a glauche mandrie sotto l’orizzonte dei mari!
 
Ho visto fermentare gli stagni enormi, nasse
dove frammezzo ai giunchi marcisce un Leviatano!
Frane d’acqua scuotevano le immobili bonacce,
cateratte lontane crollavano nei baratri!
 
Ghiacciai, soli d’argento, flutti madreperlacei,
cieli ardenti! Incagliavo in fondo ai golfi bruni
dove immensi serpenti mangiati dalle cimici
cadon, da piante torte, con oscuri profumi!

Ai bimbi, avrei voluto mostrare le dorate
dell’onda cupa e azzurra, o quei pesci canori.
– Schiume di fiori, mentre salpavo, m’han cullato,
e talvolta ineffabili venti m’han dato l’ali.
 
Martire affaticato dai poli e dalle zone,
il mare che piangendo mi addolciva il rullio
faceva salir fiori d’ombra, gialle ventose,
ed io restavo, simile a una donna in ginocchio,
 
quasi isola, scuotendo sui miei bordi i litigi
e lo sterco degli uccelli dagli occhi biondi, e urlanti.
Vagavo ed attraverso i miei legami fragili
gli affogati a ritroso scendevano a dormire!
 
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Io, battello perduto nei crini delle cale,
spinto dall’uragano nell’etra senza uccelli,
– né i velieri anseatici, né i Monitori avrebbero
ripescato il mio scafo ubriaco d’acqua, –
 
libero, fumigante, di brame viola carico;
io che foravo il cielo rossastro come un muro
che porti, leccornie per i buoni poeti,
dei licheni di sole e dei mocci d’azzurro;
 
io che andavo chiazzato dalle lunule elettriche,
folle trave, scortato dagli ippocampi neri,
quando il luglio faceva crollare a scudisciate
i cieli ultramarini dai vertici infuocati;
 
io che tremavo udendo gemere a cento leghe
i Behemot in foia ed i densi Maèlstrom
filando eternamente sull’acque azzurre e immobili,
io rimpiango l’Europa dai parapetti antichi!
 
Ho visto gli arcipelaghi siderei e delle isole
dai cieli deliranti aperti al vogatore:
– È in queste notti immense che tu dormi e t’esili
Stuolo d’uccelli d’oro, o Vigore futuro?
 
Ma basta, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti,
ogni luna mi è atroce ed ogni sole amaro:
l’acre amore mi gonfia di stordenti torpori.
Che la mia chiglia scoppi! Che vada in fondo al mare!
 
Se desidero un’acqua d’Europa, è la pozzanghera
nera e gelida, quando, nell’ora del crepuscolo,
un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
un battello leggero come farfalla a maggio.
 
Non posso più, bagnato da quei languori, onde,
filare nella scia di chi porta cotone,
né fendere l’orgoglio dei pavesi e dei labari,
né vogar sotto gli occhi orrendi dei pontoni.
 
Arthur Rimbaud

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